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27 marzo 2017

L’inclusione

Uno studente chiede a Ilvo Diamanti: «Che significa essere di sinistra?»

Il prof. Diamanti, politologo insigne, risponde proponendo la definizione di “sinistra” fornita da Norberto Bobbio: «La sinistra è inclusione!» Vale a dire aprire a tutti i cittadini l’area dei diritti, con ciò intendendo il diritto al lavoro, il diritto alla salute, il diritto allo studio, il diritto all’assistenza, … I numerosi altri diritti nell’ampio panorama delle attese dell’uomo non più suddito, li elenchi il lettore, quand’anche non colto, ma comunque titolare di tutte le attese legate ai tempi ed alla condizione di ciascuno.

Mi verrebbe da dire: tutti i diritti costituzionali.

A salvaguardia e a difesa di questi diritti, pertanto, dovrebbe ergersi ogni istituzione posta dall’uomo stesso nella società cui egli dà senso e ragione dal che nozze e tribunali ed are / diero alle umane belve esser pietose / di se stesse e d’ altrui “[U. Foscolo – I sepolcri – vv.91-93].

Sono riflessioni d’una indiscutibile ovvietà, considerazioni quasi matematiche come due più due fanno sempre quattro. Eppure, nell’ambito della sinistra (o sedicente tale) non sempre si riesce a cogliere il senso di queste affermazioni. Una interpretazione distorta del post-ideologico, assunto a pretesto per non aderire ai principi fondanti della socialità inclusiva (così definita per non urtare la suscettibilità di quanti con troppa fretta si sono scrollati di dosso gli stracci di un ipocrita socialismo di maniera) e abbracciare, quasi con la libido di un puledro, le teorie utilitaristiche di una filosofia di giornata difficile da definire, ma molto facile da cogliere nelle manifestazioni e negli effetti.

E pensare che dottrine sociali fra le più equilibrate e quasi universalmente riconosciute hanno condotto un tale Gesù di Nazareth in cima alla collina del Calvario, dove ha lasciato scorrere nel suo sangue la sua eredità di pensiero e la dinamica, ferrea volontà della sua trasmissione nel tempo.

Come dire che il bene uccide, come la verità.

Ho sentito politici accusati di corruzione descriversi immaginificamente rinchiusi nella cella del filosofo greco e costretti a strappargli dalle mani la coppa di cicuta per trangugiarne d’un sol fiato l’amaro contenuto. Povero Socrate! L’avrebbero certamente impugnata con la mano destra, la stessa con la quale quasi certamente non avranno mai aperto un libro di filosofia.

Perché si ha l’impressione che ciò che manca in una buona fetta del mondo politico degli ultimi anni, sia proprio (se non un’istruzione essenziale) un fondamento culturale utile per una lettura della società meno superficiale e distratta. Prende sempre più corpo il sospetto che lo spessore formativo, tra i banchi del Parlamento centrale e dei parlamentini periferici, sia sempre più sottile e meno resistente al peso dei doveri che pensano o presumono di saper assolvere. Si individuano dei vuoti, delle lacune, fisiche e concettuali, assimilabili a tessuti dalle larghe trame che le tarme dell’incultura abbiano dilaniato con crudele avidità.

È colpa del superamento dell’ideologia?

No! È la latitanza delle idee. È l’incapacità di interpretare il microcosmo che li circonda, intendendo con ciò il tessuto sociale di piccolo, medio e largo raggio, cui hanno carpito (non so con quanta buona fede) il consenso elettorale.

Guardate quanti volti dallo sguardo spaesato, assente, assonnato o annoiato, costellano gli emicicli nazionali, regionali, provinciali e comunali. Osservateli, poi, a consessi conclusi, recuperare le maschere da grandi personaggi e pavoneggiarsi per le strade colpendo a mo’ di pungolo, con lo sguardo a destra e a manca, le persone dalle quali pretendono l’ossequio di fronte e il “vaffa” alle spalle.

E l’inclusione?

Per alcuni è una pacca sulle spalle, per altri è un caffè al bar, un bicchiere di birra, un panzerottino fugace, un aneddoto scurrile e confidenziale tra una parolaccia e l’altra, un saluto sperticato con annesso turpiloquio gratuito: tutte cose che lasciano il tempo che trovano, ma che talvolta gratificano alcuni. Il catalogo, tuttavia, è ampio.

L’inclusione è un concetto socio-culturalmente importante e profondo. Recuperiamone il senso. Essa è il sale della democrazia. Senza di essa non si è né democratici, né di sinistra.

A mio parere, naturalmente.

Luigi Parrillo