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da

aprile 2005

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Carol Wojtyla, il Papa venuto dall’Est

di Luigi Parrillo

 

Stupore. È questa la sensazione che mi ha annichilito all’annuncio della morte di Carol Wojtyla. È lo stupore che mi ha indotto al silenzio ed alla riflessione, respingendo il fastidioso rumore mediatico che ha dissacrato, esponendola crudamente, la caparbia e lunga agonia glorificante del gigante polacco, colui che ha guidato il cattolicesimo per le strade del mondo con l’impeto di un condottiero e la tenerezza di un padre.

Lo stupore mi aveva già colpito e frastornato quando, pochi minuti dopo la sua ascesa al soglio pontificio, salutava il mondo cattolico in attesa con voce decisa, vigorosa come la sua tempra, autentica come il suo essere persona, che sovrastava, facendo loro quasi violenza, i toni volutamente flautati dei suoi predecessori.

Sentii immediatamente che Carol Wojtyla era l’uomo nuovo, maturato non già nell’umiltà che rese grande papa Roncalli, ma nella sofferenza di uomo dell’Est, che aveva sperimentato sulla propria pelle le incredibili malversazioni dei regimi che ha visto cadere uno dopo l’altro e che portava con sé l’ingente patrimonio della solidarietà umana che lievita e prende corpo nel comune patire. 

Uomo tra gli uomini, il papa polacco, ne ha compreso l’essenza e le diversità: ha esibito la fede cattolica, di cui è stato superbo custode, tra le religioni del mondo alle quali ha riconosciuto autorevolezza e dignità, chiamandole talvolta a testimoniare aneliti di pace tra i popoli, ad onta degli interessati contenziosi internazionali, freddi strumenti di nanismi politici che compromettono il benessere e la vita stessa delle genti.

Precocemente costretto alla solitudine per la repentina scomparsa delle più care figure parentali, ha orientato la sua esistenza verso la fede che ha vissuto come ristoro benefico per le sue sofferenze e da cui ha tratto alimento per irrobustire il gigante caratteriale che dall’infanzia tribolata, dalla fatica della fabbrica, dai campi di lavoro coatto, dal grigiore dei regimi totalitari, è pervenuto allo splendore e alla grandezza delle stanze vaticane dalle quali spaziare lo sguardo sulle sofferenze dei deboli che umanizzano il mondo e rendono più cupe le restaurate e acconce fattezze di quei governanti che predicano pace e praticano guerra.

Lo testimoniano i suoi viaggi. Dal 25 gennaio del 1979, fino alla metà di agosto del 2004, ha visitato più di cento paesi, toccando tutte le latitudini del mondo, incontrando umili e potenti confortando utilmente i primi ed esortando invano i secondi. Ha sottolineato ulteriormente la sua grandezza interiore affidando alla storia gesti esemplari e significativi: si pensi al perdono rivolto al giovane turco che aveva attentato alla sua vita o alla coraggiosa determinazione e allo spirito critico con cui ha aperto e sostenuto il dialogo con la comunità ebraica.

Con la pubblicazione di “Memoria e identità”, invita il lettore ad un riesame della storia recente e a profonde riflessioni sui fatti più discussi del secolo appena trascorso.

Ora, secondo il credo di cui è stato difensore, è nel regno che gli riconosce l’autentica dimensione spirituale e che gli conferisce il crisma dell’immortalità già riconosciutagli dalla memoria degli uomini.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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