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Casella di testo: San Marco Argentano - Polis

 

 

 

25 aprile 2014

Il totem

È storicamente dimostrato che, presso alcune tribù locali, avere un’opinione divergente da quella del volgo allineato, equivale a commettere un reato di “lesa maestà” (cfr. articolo de “La Spiga” del 1995). Analogamente, parteggiare per qualcuno o per qualche aggregazione più o meno condivisibile, vorrebbe dire esserne il deus ex machina, poiché la parola (ovvero il diritto di usarla) ti catapulta immediatamente nel sancta sanctorum dei padreterni in sedicesimo che, presso le arcinote tribù locali, rappresentano i totem intorno ai quali si celebrano i riti più impensabili. Andiamo dalla danza della pioggia al ballo del telefonino, dal fioretto del supermercato alla penitenza col sacrificio della dignità, fino al pellegrinaggio con la percorrenza in ginocchio al santuario del dio Ramarro.

Tra le grazie più invocate, è in prima linea l’apertura di un nuovo ospedale per godere della mortificazione di un’altra chiusura sacrificale; segue l’invocazione di posti di lavoro a tempo limitato, anche solo per la durata della campagna elettorale; sono numerose le richieste di ottenere la scissione delle contrade dal centro storico per farle diventare comuni a loro volta in modo da avere un sindaco per ciascuna di esse; e non si contano le preghiere di avere, almeno una volta a settimana, una taumaturgica pacca sulla spalla come segno di benedizione, o una foto con dedica, se non un piccolo busto in vetroresina, cui destinare un altarino devozionale accanto alla porta di casa, sostituendo la statua della madonna o del santo protettore. Un po’ come l’antico culto dei Lari e dei Penati.

Ne preannunciano i miracoli alcune “vestali” che il lungo tempo trascorso in adorazione ha consolidato nei ruoli e nei fallimenti socio-economici e che, purtroppo, non sono servite di lezione a tutti quei fedeli che ancora si attendono i benefici e le furbate di cui non ha goduto, finora, neppure la ben nota, e ormai annosa, casta sacerdotale.

L’unico miracolo riuscito, a parte i successi economici personali, è quello di aver fatto perdere la vista a tutti i suoi devoti. Nessuno di essi, infatti, riesce a vedere quello che è sotto gli occhi di tutti e che i giornali pubblicano con dovizia di particolari. Di capipopolo “perseguitati” è piena la cronaca politica italiana e calabrese in particolare. È una casta che va protetta prima che la magistratura ce la decimi – sembra affermare con forza la folla supina che ne magnifica le qualità – E chi parteggia per altri è fedifrago e blasfemo. Bisognerà inventare un nuovo tremendo inferno per costoro.

Mi tremano già le gambe al solo pensarlo. Ciò nonostante, io parteggio per altri. Poiché il diritto all’opinione è sacrosanto. Se, poi, la mia opinione potrà condizionare o meno quella di altri, è cosa che dovrebbe intimorire chi avesse la coda di paglia. Né temo opinioni divergenti rispetto alla mia, nutrendo, per indole e per formazione culturale, il più sacro rispetto per quella democrazia che conferisce alle maggioranze il diritto di autodeterminarsi. Gliene attribuisce contestualmente ogni responsabilità, alla quale saranno da ricondurre tutti i risultati positivi e, purtroppo, anche quelli negativi, che ad oggi sono stati, guarda caso, in numero maggioritario.

Ciò che la gente (diremmo meglio, il popolo) vuole è, per me, legge. Ciò che i cittadini di San Marco vorranno, sarà da me accettato, volente o nolente. Rimarrà nel mio diritto di cittadino e nelle prerogative di persona autonoma e pensante, esprimere valutazioni e giudizi, ancorché non in linea con quelli dei più, perché io amo la politica come scienza sociale, ma la respingo fermamente come religione. Così come respingo, altrettanto fermamente, chi a religione vorrebbe ridurla. Non è con nuove forme di paganesimo che salveremo la società dai rischi di deformazione cui è indotta da sempre.

Luigi Parrillo