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San Marco Argentano - Polis

 

 

16 dicembre 2014

I silenzi eloquenti

Vi sono circostanze in cui parlare è d’obbligo, altre in cui è più utile tacere.

Utile a chi? – vi chiederete. Ma è chiaro! A chi del silenzio dovrebbe far tesoro come se fosse un discorso di migliaia di parole, che non si pronunciano per non rendere peggiore la situazione.

Siete certi – vi domanderete ancora - che i destinatari del non dire recepiscano tutto quanto si cela dietro il muro di silenzio? Una considerazione altamente positiva della loro intelligenza ci fa supporre proprio di si.

Ci piace pensare che, spesso, la voce dell’Io è più forte e più prepotente di mille (si fa per dire, poiché saranno più di mille) critiche eterodirette pronunciate con piglio amichevole, o stentoreo, o suadente, ma tutte finalizzate a richiedere una maggiore incisività alle azioni che si è chiamati a compiere per desiderio unanime.

Il silenzio che maggiormente urla alle proprie orecchie interiori è quello della propria coscienza, che, volenti o nolenti, non ha remore nel plauso o nel rimprovero, una volta stabilito che il proprio dovere sia stato assolto per intero o no.

E non esiste, crediamo, mortificazione peggiore dell’essere trascurati nella valutazione e nella considerazione generale dei propri gesti professionali, o sociali, o politici, o di qualsiasi altra natura. Quando si arriva a questo livello, si diventa inutili o pressoché inesistenti.

Ora, è pur vero che non si vive solo in funzione della considerazione altrui, ma determinati ruoli interagiscono con il mondo circostante e dal suo feedback traggono motivo e linfa per esistere e per sopravvivere. Se una persona qualunque non si proietta interamente sulla società con la propria peculiarità o con i propri risvolti collaterali, viene meno la ragione del vivere civicamente impostato. Abbiamo esempi (seppure in negativo) che dovrebbero farci intuire come ci si pone per raggiungere gli obiettivi prefissi. E se ci riescono persone con un patrimonio assolutamente povero di qualità intrinseche, perché non dovrebbero riuscirci soggetti meglio attrezzati culturalmente?

È un problema di coraggio? Di opportunità recondite? Di generiche riserve?

Si tratta di dati caratteriali? Di condizionamenti?

Si è, forse, delusi, scoraggiati, rassegnati? Beh, in questo caso è utile parlarne con le persone giuste. Il silenzio non risolve nulla. Nel vivere insieme c’è sempre una via d’uscita. L’alternativa è soccombere.

In ogni caso, ci sarebbe una strada parallela da percorrere: parlare con se stessi guardandosi allo specchio. Senza lasciarsi fuorviare, però. Poiché lo specchio ci restituisce, si, la nostra immagine, ma capovolta orizzontalmente. La gente, quindi, quando ci guarda in viso, ci osserva da un altro punto di vista rispetto al nostro osservarci allo specchio.

Da qui, la domanda: Siamo ciò che noi presumiamo di essere o quel che gli altri vedono di noi? Pirandello ci insegna che potremmo essere uno, nessuno e centomila! Allora, è più utile che per noi parlino i fatti concreti, reali, incontrovertibili, decisamente coraggiosi e, principalmente, pubblici. Poiché in certi settori, i fatti vanno presentati, esibiti, gridati, amplificati, messi in luce con ogni mezzo. Essi sono lo specchio fedele di quello che siamo e restituiscono a chi ci osserva una immagine a tutto tondo, bella o brutta che sia, ma vera e autentica nella sua cruda realtà.

Di ombre, ciascuno di noi può proiettarne. Tranne che a mezzogiorno, in piena luce e con il sole a picco. A mezzogiorno, anche il silenzio parla fiumi di parole.

Luigi Parrillo