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San Marco Argentano - Polis

 

 

 

13 maggio 2014

Comizi e comizianti

Ci si chiedeva, la domenica scorsa, se lo stile di un comizio - non il comizio in sé - può fornire a chi vi assiste elementi in grado di delineare con maggiore chiarezza e con dovizia di particolari l’immagine del “comiziante” nella sua completezza integrale.

La cosa può apparire oziosa, inutile, insignificante; ma, spesso, sono proprio gli interrogativi oziosi a coinvolgerti in una serie di considerazioni dagli sbocchi logici imprevisti, attraverso tutta una serie di associazioni di idee, che si inseguirebbero senza soluzione di continuità se, ad un certo punto non si decidesse di smetterla. Non senza avere, però, raggiunto una qualche conclusione, che non ti avrà arricchito sul piano culturale, ma avrà offerto il suo contributo all’ampliamento del senso pratico. Che una sua utilità ce l’ha, e come!

Allora, si prendeva in considerazione il comizio urlato, quello che non avrebbe bisogno di strumenti di amplificazione sonora per diffondersi nella piazza, tanto il tono di voce si sprigiona aggressivo e qualche volta insolente. Dà persino fastidio riascoltarlo.

Quale obiettivo vuole raggiungere questo tipo di comizio? Certamente non quello di convincere. I toni suadenti non sono quelli urlati dalle parole scaraventate in faccia all’uditorio. Il comizio urlato tende a mantenere integro un consenso esistente. Esso vorrebbe essere la dimostrazione di una forza che ti contagi e ti coinvolga, una sorta di muro di protezione che ti preservi dall’assedio di un potenziale nemico. Vorrebbe farti sentire al sicuro in un recinto fortificato dal quale si desidera che nessuno esca. Obiettivo: impedire le fughe. Per questo viene proposto da persona che parla assumendo pose, linguaggio e tono da oratore propagandista, immaginandosi infilata in un paio di stivaloni lucidi, mani sui fianchi, e fez con piumino, convinta che l’urlo non si ascolta, si subisce.

Il comizio urlato, però, può essere anche l’esplosione di un disagio represso o di una rabbia trattenuta per molto tempo, la liberazione da una prigione psicologica quale può essere una sudditanza utile, ma non accettata completamente. Può essere la presa di coscienza della propria debolezza esorcizzata attraverso la scompostezza fisica dell’urlo, che denota la perdita di controllo della compostezza civile. Quando c’è. Basta ricordare la celeberrima corda civile del “Berretto a sonagli” di pirandelliana memoria.

C’è, poi, il comizio a prescindere. Quello che spara a trecentosessanta gradi contro tutto e tutti, ritenendo che il mondo vada reinventato dalle fondamenta. Facile da proporre nella sua ingenuità compulsiva; difficile da sostenere consequenzialmente nei fatti, specialmente quando si tratta di ricostruire verginità perdute da tanto tempo. Di solito, il comizio a prescindere viene proposto da neofiti di primissimo pelo o da furboni di tre cotte che di questi ultimi sfruttano le potenzialità e l’immagine.

Rimane da considerare il comizio suadente. Non urlato, né dimesso. Esso è quasi sempre articolato in ragionamenti logici affidati a premesse condivisibili e conclusioni corrette nella consequenzialità. Presuppone un ascolto critico e attento, che la piazza non sempre riesce ad offrire. Necessita di oratori equilibrati nel carattere e nella personalità e, oltretutto, che non abbiano magagne da nascondere o – come si dice in politichese abusato – scheletri nell’armadio.

Il comizio suadente, tuttavia, ha difficoltà di penetrazione in un pubblico che, condizionato da decenni di televisione spazzatura (da qualcuno considerata “l’oppio degli infelici”), ama la polemica, la lite, le reazioni scomposte di persone da quatto soldi disposte a tutto per una manciata di spiccioli. Questi modelli comportamentali, assolutamente dozzinali, ma che affascinano talune fasce di pubblico, fanno perdere di vista le differenze tra il bello, il buono, l’utile e il brutto, il cattivo, il dannoso. Sfumano il tutto in una nebbia concettuale, che si dirada soltanto, purtroppo, quando produce danni irreparabili a danno di chi, non vedendo al di là del proprio naso, si abbandona a questi atteggiamenti acritici di pigrizia mentale.

Eppure, il comizio suadente parla alla gente, ne chiede la partecipazione e il coinvolgimento rifuggendo dalla delega gratuita. Il comizio suadente è una conversazione cordiale tenuta da persona che ama parlare guardandoti negli occhi e registrando le tue reazioni. Il comizio suadente non si impone, si propone con garbo, con sicurezza e con serenità. Non precipita sulle folle come pioggia salvifica, ma si rivolge alle persone, quasi singolarmente, rispettandole nella loro dignità e nel loro valore di uomini. Poiché richiede ascolto critico e dignitoso, non ama parlare al gregge. Vuol essere capito, desiderando di essere condiviso.

Cosa si richiede, però, dall’altra parte?

Maturità civile, acume politico, spessore culturale. Le condivisioni preconcette o pregiudiziali non sono utili ai cambiamenti in positivo della società. La politica per tifo non è utile. Le “partite” elettorali non decidono un campionato. Esse devono determinare le sorti delle comunità. E se proprio volessimo articolarci per analogie sportive, va immediatamente detto che i commissari tecnici che non producono risultati positivi, ma fanno registrare sempre e soltanto sconfitte, vanno esonerati senza esitazione. E le sconfitte sono sotto gli occhi di tutti.

Basta! La nostra città vuole ricominciare a vincere.

Luigi Parrillo