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San Marco Argentano - Polis

 

 

6 novembre 2014

Campagnola bella

Mi ripugna un po’ distinguere i cittadini attribuendo loro autorevolezza o meno per la loro collocazione topografica; ma, visto che per essere apprezzati in questa città bisogna far ricorso a questi schemi socio-culturali da medioevo, cercherò di adeguarmi, non senza farmi violenza, alla maniera di ragionare dei maggiorenti politico-amministrativi in auge in questo momento storico a San Marco Argentano. E forse anche della maggior parte dei cittadini, visto che li hanno gratificati di un consenso addirittura insperato da loro stessi.

Partiamo, quindi, da una premessa essenziale. Osservando attentamente la composizione del consiglio comunale, notiamo una nutrita presenza di donne quasi tutte provenienti da territori periferici del comune. Si dedurrebbe, da questo dato, che esse siano più vicine di altri agli elementi della natura e che abbiano in animo, meglio che altri, la sua conservazione in termini di integrità e di non contaminazione.

Ecco, pertanto, il riferimento, abbastanza scontato nel titolo, alla vecchia canzone che inneggia alla campagnola bella, simbolo di quella bella e onesta semplicità attribuita alla ragazza di periferia definita “reginella campagnola” da Eldo Di Lazzaro, autore dei testi per la musica del compianto maestro compositore Bixio Cherubini. Una canzone che, partendo dal folklore abruzzese, colonizzò abbondantemente il folklore italiano con la sua orecchiabilità e la sua popolarità.

Tutti ne ricordano il ritornello, che sottolinea ripetutamente la bellezza della reginella della valle in fiore. Ora, le valli calabresi non hanno nulla da invidiare a quelle abruzzesi, a parte le poetiche descrizioni dannunziane, anche se quella piccolissima del Fullone è di secondaria importanza dal punto di vista turistico, ma non da quello ambientalistico.

Perché, dunque, metterne a rischio l’equilibrio biologico e la bellezza naturale attraverso stragi di vegetazione importante, più o meno autorizzate, forse ignorate, forse condivise, certamente trascurate nella loro gravità dalla colpevole indifferenza di quanti (troppi, ahimè!) vedono e tacciono?

Pochissime voci hanno timidamente sollevato il problema temendo che una sconsiderata operazione di disboscamento selvaggio mettesse in serio pericolo la propria incolumità. Solo le reginelle di Palazzo Santa Chiara hanno sottaciuto lo scempio che si stava perpetrando nella valle in fiore.

Si! “In fiore” quando prati di ciclamini, all’ombra degli alberi secolari, oggi crudelmente abbattuti, facevano da tappeto alle umide sponde del Fullone che lunghe e robuste radici trattenevano tenacemente. Adesso, che tipo di fiore ricorderà la gente associandone l’immagine al corso di questo fiume, che molti autori citano quando si parla delle origini e della nascita della nostra città?

Tra gli altri, ricordiamo lo scomparso prof. Antonio Guaglianone, latinista, poeta e sammarchese appassionato, che a questo fiume affidava il proprio amore e il proprio dolore:

«Son ritornato

Alle tue acque,

Antico fiume,

Per obliare

Il tempo.

Fiorisce ancora

Ai vecchi

Sassi

La tua acqua e va.

Ma la mia

Pena

Sbatte a fondo

E resta.»

(A. Guaglianone  -  I Giorni non Perduti  -  Tip. G. Pipola – Napoli)

 

Sciocche romanticherie? Forse si.

Ma non sono da preferire al pragmatismo monetizzante di quanti guardano alla natura come fonte di sfruttamento indiscriminato, che produce vantaggi immediati per pochi e, in prospettiva, danni incommensurabili per molti?

Infine, romanticheria per romanticheria, nonostante sia già troppo tardi poiché il danno è stato fatto, consiglieremmo a qualche consigliera, dopo aver adottato un cane ed un’aiuola, di mettere in campo un progetto assolutamente utile e salutare: “Adotta un albero”!

 

Luigi Parrillo