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La città politica (e non solo) alla luce del pensiero divergente |
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15 marzo 2020 “Vuogliu a mamma!” “Vuogliu a mamma” è l’espressione che ci riporta alla memoria l’immagine
di bambini piangenti e spaesati di fronte ad un pericolo o ad una situazione
più grande di loro che non riescono a gestire o dalla quale non riescono a
venir fuori. Spesso questo atteggiamento infantile, produce un imprinting, una sorta di marchio a
fuoco che rimane indelebile per tutte le età della vita. E lo stiamo
verificando in questi giorni. Nell’adulto, però, è un
atteggiamento irrazionale, ai limiti della stupidità, che non valuta risvolti
e conseguenze, che sfugge alla logica comune, che risponde ad istinti
individualistici privi di senso ed instilla il desiderio inconscio di un
ritorno nel liquido amniotico come se non fosse mai stato partorito. È la
rapida cancellazione della propria storia. Frastornate dalla propagazione
della pandemia da coronavirus, frotte di meridionali emigrati nel
settentrione d’Italia hanno letteralmente preso d’assalto tutti i treni
notturni con destinazione Sud per fare ritorno nelle regioni d’origine, come
se questa strategia (da molti ritenuta dissennata) li mettesse al riparo da
qualsiasi contagio e da ogni conseguenza nefasta. Quegli stessi che avevano
semplicisticamente diviso l’Italia in “ddra supra” e “cca ssutta”, abbandonata l’enfasi con la quale
magnificavano il “ddra
ssupra”, si rifugiano infantilmente nel “cca ssutta” senza considerare che questo gesto equivale a
mettere in grave pericolo i propri cari ed i propri affetti importando
probabilmente un contagio in evidente propagazione e rivelandosi veri propri
potenziali untori di manzoniana
memoria. Lasciatasi alle spalle la
distratta e presunta signorilità del signor
Brambilla o del Beppe, hanno
pensato che compa’ Franciscu
o compa’ Giuseppe avrebbero elargito loro
l’antidoto contro il Covid19 con l’affetto, l’apertura e la cordialità di
sempre. Non hanno preso in considerazione, però, che i compari del nostro
territorio, alcuni dei quali gratificati dal favore di assurgere ad
importanti ruoli di gestione politica a tutti i livelli, avevano nel
frattempo chiuso gli ospedali periferici adducendo a pretesto la mancanza di
fondi dilapidando altresì le risorse finanziarie, dedicate alla sanità, in
costosissime ed immorali consulenze di comodo, perfettamente inutili in
costanza di commissariamento delle strutture sanitarie. Non è un caso che
alcune di queste figure vengano periodicamente destinate, salvo inspiegabili
eccezioni, a trascorrere brevi periodi nelle patrie galere. “Vuogliu a mamma”! E la mamma non può far altro che accettarli, con
tutte le riserve del caso. Poco importa se la mamma si infetta e, considerata
la situazione, ci lascia le penne. Se volessimo fare dell’ironia
fuori luogo, diremmo che, per un senso di egalitarismo nazionale, questi
immigrati di ritorno vorrebbero equiparare il meridione al settentrione
eguagliandone i livelli di contagio, di morbilità e di sciagurate conseguenze
letali. Sarebbe delittuoso un gesto irresponsabile di tale natura. Ma ne
vengono ancora. “Andrà tutto bene” scrivono i ragazzi nella loro ingenuità. Ce lo auguriamo
veramente, perché loro sono il futuro, sono l’anima delle nostre speranze. Ma
quando tutto sarà finito (perché finirà prima o poi) come torneranno “ddra ssupra” gli intelligentoni che hanno portato nel
settentrione le braccia e non i cervelli? Che concetto si saranno formato di
loro gli anziani compa’ Franciscu
e compa’ Giuseppe, ammesso che rimangano
vivi? Questo è il quadro e questi gli
interrogativi che meritano, se non altro, un pizzico di meditazione. Luigi Parrillo |
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