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19 luglio 2016

Deserti, folle e follie

Due link. Il primo ci indirizza ad un articolo dolorosamente quanto giustamente risentito; il secondo ad un post su facebook, che ho immediatamente condiviso.

http://www.luminosigiorni.it/2016/07/costume-e-malcostume-un-ospedale-nel-profondo-sud-amarezza-dun-paziente-impaziente/

https://www.facebook.com/annalisa.martino?fref=ts

Certe cose vorresti non leggerle mai, eppure fanno parte del quotidiano nel disastrato inferno sanitario che, complici molti indifferenti ed incolti ras locali, ingurgita giorno dopo giorno le sofferenze di tanti calabresi che, per forza di cose o per necessità impellenti, devono consegnarsi ai Barbariccia che si alternano nei “prontisoccorso” della regione o, per quanto ci riguarda, della provincia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non mi impegno, per manifesta incompetenza, in giudizi sulle professionalità alle quali si affidano quotidianamente folle di sofferenti (è il significato reale dell’etimo di pazienti), che raramente, molto raramente, riscuotono soddisfazione da certi ambienti molto più simili ad una rissa da taverna che ad un luogo che lenisca dolori e preoccupazioni. Sulle qualità umane, si, mi esprimo. Persone che nella società civile contano meno di zero (perché valgono meno di zero) quando entrano in contatto con la sofferenza della gente pensano di poterla gestire con metodi da antichi scherani la cui arroganza è pari al servilismo in virtù del quale riescono ad esercitare questo ruolo.

Se dovessimo far ricorso ad una immagine allegorica, penseremmo al luogo dove nei mercati generali vengono accatastati gli scarti della frutta e della verdura, che annoiati addetti di basso utilizzo, spostano sgarbatamente da un luogo ad un altro in attesa di verificare se un prodotto marcito debba essere eliminato definitivamente.

A tutto questo bailamme fa da contraltare la desertificazione forzata degli ospedali periferici, che pure sono costati miliardi di vecchie lire, in nome di una pretesa razionalizzazione o normalizzazione della sanità calabrese che, in virtù di un pretestuoso piano di rientro, si immiserisce versando forzosi e cospicui oboli agli ozi di parlamentari regionali, in attività e a riposo, la cui intelligenza politico-amministrativa ha ridotto la Calabria medica e paramedica nelle condizioni in cui versa. Come dire: il vitalizio per alcuni, il mortalizio per altri.

Abbiamo, sul territorio calabrese, strutture ospedaliere vuote, o per meglio dire, svuotate (è il caso dell’ospedale di San Marco Argentano) delle eccellenze che oggi sono le punte di diamante di quei pochi nosocomi rimasti aperti nei quali sono costretti a subire, quanto i pazienti, i torti (gli effetti, direbbe qualcuno con rassegnato eufemismo) della politica sanitaria di una regione periodicamente “visitata” dalla Guardia di Finanza o dai militi dell’Arma dei Carabinieri. Questi ultimi, guarda caso, proprio ieri hanno fatto irruzione nelle stanze privilegiate di Palazzo Campanella per una perquisizione alla ricerca di non so che.

L’ironia è questa: contestualmente alla chiusura di alcuni ospedali per ragioni economiche e finanziarie, se ne promette la costruzione di altri e, naturalmente, la relativa apertura. A me, che non sono andato mai al di là del conto della spesa di casa mia, questo discorso non quadra e non convince. Sembra, tuttavia, che ciò regolarizzi o razionalizzi la spesa sanitaria della nostra regione, che in luogo delle banalissime e tradizionali garze, del cotone, delle siringhe, o di strumenti ed apparecchiature perennemente in panne, trova più utile per la salute dei cittadini investire in cemento, ferro, mattoni, tegole e quant’altro. Alle siringhe e a tutto il resto provvedano, intanto, i pazienti stessi attraverso le modalità imposte dalla normativa regionale.

E in questo dramma infinito, parodiando Giacomino, diremmo: Così tra questa infamità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è pena in questo inferno.

Luigi Parrillo