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La città politica (e non solo) alla luce del pensiero divergente |
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5 dicembre 2016 Chi ha vinto? Chi ha vinto? Non ha vinto
nessuno! Il referendum popolare indetto
dal governo Renzi, che ha chiamato il popolo
italiano a scegliere, con un SI o un No sull’approvazione di una nutrita
serie di articoli volti a cambiare la fisionomia della carta costituzionale posta a fondamento dello Stato repubblicano, si è
concluso, com’era prevedibile, con una schiacciante vittoria del NO. Come mai? – ci chiediamo.
L’Italia è un Paese eminentemente conservatore o hanno giocato fattori
diversi per il verificarsi di due fenomeni non sempre usuali in una campagna
referendaria: la grande affluenza alle urne e il rigetto delle proposte di
cambiamento? Noi propendiamo per la seconda
ipotesi. Ovvero, si è verificato un fenomeno a dir poco anomalo, che ha
falsato il volto della competizione referendaria facendola diventare non già
una scelta razionale di cambiamento, ma l’espressione netta di consenso o
dissenso (stima o disistima – se volete) verso la persona del presidente del
Consiglio dei Ministri, nella fattispecie Matteo Renzi. Una personalizzazione quanto mai
inopportuna, assimilata da molti ad un atteggiamento di innata sbruffoneria,
che ha impresso sulla scheda elettorale, in filigrana impalpabile, il volto del
presidente del Consiglio, il suo sorriso di sufficienza portato sulle piazze
ed ostentato su tutti gli schermi televisivi in campagna elettorale, per cui
è risultato quasi istintivo il segno sul NO. Anche ai comizi della ministra
per le riforme la gente andava per riempirsi gli occhi, non per riscaldarsi
il cervello. Lo abbiamo verificato in Calabria. I temi referendari sono passati
in secondo piano, nonostante il tentativo degli ultimi giorni di farli
rientrare giustamente nella considerazione popolare. La maggior fetta degli
elettori italiani ne riconosceva la fisionomia “boschereccia” ed è sul
personaggio che ha espresso la propria scelta. Mi si perdoni il paragone, ma si era creata
un’atmosfera molto simile al referendum del 1946, quando il Paese fu chiamato
a scegliere tra il RE e la Repubblica e non ha avuto dubbi: ha detto di no al
RE, sebbene con una percentuale di voti inferiore e con uno scarto di gran
lunga minore. Oggi, il dissenso è stato molto più ampio, segno che le
monarchie sono meno accettate. Allora, riformuliamo a noi stessi
la domanda: «Chi ha vinto?» Nessuno! Ha perduto Renzi. Si ha un bel dire, da parte dei
partiti o gruppi portatori delle istanze del NO, ciascuno dei quali reclama
vittoria e ascrive questo risultato nel proprio albo d’oro. Questi hanno
semplicemente il merito – se merito c’è – di aver accettato la sfida del “rottamatore” toscano solo contro tutti e di averne
ridimensionato la sicumera, facendogli comprendere finalmente la profonda
differenza tra l’autostima e la vanagloria, profondamente diverse e
riconoscibili. Basta questo per giustificare un
referendum? Non lo so. Ma tant’è. Ora cosa succederà? – si chiede
il cittadino italiano. Nulla di straordinario. La
costituzione dello Stato repubblicano prevede modi e forme per muoversi nella
situazione attuale, affidando al Presidente della Repubblica il compito di
procedere verso la costituzione di un Governo atto a guidare il Paese in
maniera certamente non peggiore di come è stato guidato fino a questo
momento. Allo stato, sperando che la
“pezza” non sia peggiore del “buco”, ogni previsione è gratuita, né la si può
giocare in sala scommesse per incassare il premio di una vittoria mai più
prevedibile di questa del NO. Le risorse intellettive del nostro Paese sono
infinite ed è il caso, in questo particolare momento, di confidare nel buon
senso residuo della classe politica attuale per una revisione critica delle
posizioni intransigenti, tipiche delle campagne elettorali, e procedere verso
una cura efficace delle ferite inferte alla nostra Italia con molta
spregiudicatezza ed egoismo. Perché se il malato muore si va in malora tutti. Luigi Parrillo |
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