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San Marco Argentano - Polis

 

 

 

05 luglio 2014

Ritratti

Dio non paga il sabato. E chi si sente Dio non fa caso al giorno della settimana: paga e basta.

Si. Perché i servigi resi vanno sempre pagati, specialmente alle persone che dedicano la propria vita a rendere servigi. Non importa a chi. Ciò che conta è servire e trovarlo utile, o meglio, servire e trovare l’utile.

L’ex sindaco fuggitivo Alberto Termine, per esempio, pagava a rate, a stralci, per stati d’avanzamento. Altri pagano in contanti, cache, sull’unghia. Ecco la differenza.

E l’immagine? Chi se ne frega! L’immagine è quella che si vede da fuori; il baco sta dentro, chi lo nota, chi lo vede?

Gli occhi biologici colgono l’involucro, la crosta, l’ultimo strato di vernice. Sono gli occhi della mente, dello spirito, dell’anima che penetrano nel nucleo di talune cellule della società, ne analizzano la sostanza, ne scompongono le parti tenute assieme da materia ibrida in continua trasformazione. Ed è sulla metamorfosi perenne di questo brodo primordiale che si fonda la sopravvivenza genetica della instabilità culturale, etica, sociale, causa ed effetto delle storture che ammalano da sempre il contesto umano in barba ad ogni norma, ad ogni precetto, consegnati agli uomini dal pensiero filosofico, religioso, civile.

È il concetto della sopravvivenza che guazza nel guazzabuglio (il bisticcio è d’obbligo) dell’imbroglio, del raggiro, dello sgambetto maligno, del tradimento abituale, del disprezzo dell’altro, dell’avidità gratuita, dello strisciare silente, dell’avarizia di sentimenti.

L’antica saggezza popolare ne immagina emblematicamente la figura: glabra sul volto e pelosa sul cuore, il sorriso stampato sotto lo sguardo accigliato, l’incedere quasi scivolando sul suolo che calpesta appena per forza di gravità, la parola untuosa che si insinui con facilità nelle coscienze deboli, la determinazione a perseguire qualsiasi obiettivo a danno di chiunque.

Usate come sanguisughe raccolte nella palude stagnante del pressappochismo etico di talune fasce sociali, queste persone risultano funzionali alla crescita di personaggi sottolineati non positivamente dalle cronache giornalistiche e televisive, nonché dai network più in voga. Ne colgono lo spirito, ne imitano lo stile (si fa per dire), ne alimentano le ambizioni, ne incrementano le fortune da cui dipendono le proprie.

Tutto il resto non conta. È materia per gli sciocchi. Perché stoltezza e rettitudine sono la stessa cosa. Per costoro, scaltrezza vuol dire disonestà e sono sempre più numerosi i seguaci di questa filosofia, mentre le istituzioni chiamate a correggere tali devianze probabilmente latitano per una sorta di ottimismo sociale tutto da rivedere.

I correttivi? Ciascuno li ricerchi nella propria capacità di vivere come elemento attivo della migliore democrazia partecipativa.

Luigi Parrillo