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San Marco Argentano - Polis

 

 

 

24 agosto 2014

L’Agosto che divide

Complice la Pro-Loco (forse ingenua, forse chi lo sa?), l’Agosto sammarchese, che chi scrive ha contribuito a far nascere tenendolo a battesimo con manifestazioni e serate di riconosciuta autorevolezza, alimenta sempre più il sospetto che, col passar del tempo, si traduca in una serie di celebrazioni tribali finalizzate alla ulteriore frammentazione della società sammarchese, già di per sé in difetto di coesione per volontà certamente imputabili a soggetti ben noti.

Amministratori comunali, che abbiamo visto aggirarsi con aria dimessa tra le scarse e deboli luci delle serate agostane, sembra che non si rendano conto di aver favorito uno smembramento innaturale non solo delle frazioni urbanizzate della nostra cittadina, ma persino di alcuni quartieri del centro urbano, che hanno eretto un muro virtuale di separazione netta quasi fossero soggetti di etnia diversa o di differente estrazione socio-culturale.

Ora, finché questo tipo di ridicolo pseudo-integralismo nostrano risulta utile a fini puramente elettoralistici, si tolleri pure. Ma solo se rimane limitato nel tempo e nello spazio di una campagna elettorale, discutibile sul piano culturale e condannabile su quello sociale.

Quando, però, il fenomeno assume carattere permanente per le micro-ambizioni di meteore sociopolitiche dell’ultima ora, va condannato inesorabilmente al di là di ogni appartenenza politica o di qualsiasi altra natura.

È vero che gli esempi storici della nostra comunità non sono dei più edificanti. Ne è concausa la mancanza di cultura e di sensibilità sociale, oltre che storie personali tutte da approfondire nei minimi dettagli. Ma chi, si presume, abbia avuto un minimo di contatti con ambienti accademici culturalmente accreditati, non può cedere a certe tentazioni seminate ad arte e destinate a far presa su coscienze deboli o in malafede.

L’illusione dell’immagine al posto della sostanza è un veleno psicologico da evitare. Non si è mai «bravi a prescindere» ha scritto su “La Stampa” Massimo Gramellini. Né si può offrire alla gente il contorno della propria figura che ciascuno potrà poi riempire a proprio piacimento. Solo in una società superficiale e distratta la gente non si attarda a valutare qualità e competenze. Ma sono proprio queste caratteristiche negative che consentono a ben noti mediocri di tagliare traguardi immeritati parassitando immense distese di ingenuità e di buona fede.

Altri, cui riconosciamo un background culturale non ancora contaminato, avrebbero le capacità di conquistare appieno le proprie libertà, tra cui primeggia la libertà dal bisogno senza la quale si apre il baratro del servilismo e/o della corruzione. Patologie, quest’ultime, che si propagano per contagio.

Comprendiamo le prime soddisfazioni; effimere per definizione. Quelle vere sono di là da venire e sono vincolate alla propria crescita integrale. Che altrui ambizioni ostacolano.

Va rimosso tutto ciò che fa ombra, tutto ciò che offusca, tutto ciò che deforma, che deteriora, che sporca, che inquina, che mortifica, che offende.

E ciò che divide offende il corpo della città, ne dilania l’immagine, ne svilisce il prestigio, ne indirizza i brandelli verso interessi particolari che fanno perdere di vista l’interesse generale, quello delle popolazioni, delle comunità.

È appena il caso di recuperare il senso dell’unità, che molti citano e che nessuna desidera, alla prova dei fatti. E non si dica che i fenomeni citati sono irrilevanti. Tutto ha un senso nel disegno generale.

I giovani amministratori riflettano. Hanno la capacità e il tempo (non indefinito) di correggere certe storture. E la volontà?

Luigi Parrillo