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San Marco Argentano - Polis

 

 

 

24 maggio 2014

Chi urla ha sempre torto.

Essere scomposti nella comunicazione verbale è quasi sempre sintomo di paura. Presuppone il timore che stia per venirci meno il terreno da sotto i pedi. L’urlo modifica il volto in senso peggiorativo. Arrossa la pelle, strabuzza gli occhi, tende fino al parossismo i muscoli facciali, fa vibrare a limite le corde vocali, avvelena il sangue di tossine, indebolisce il cervello,  cede – a seconda dei casi – al terrore o al livore.

E il pensiero si abbandona, lasciando prevalere l’istinto.

Qui sorgono i problemi di comportamento. Può emergere la violenza, la minaccia, il ricatto o – per l’altro verso – il pietismo, l’elemosinare piagnucoloso, il trucco della finta debolezza.

Praticamente, non c’è più l’uomo. Rimane l’animale biologico in preda all’istinto di sopravvivenza, per garantirsi la quale non conosce limiti di sorta.

Di fronte a costoro, si è sempre in pericolo.

 

Chi confessa è colpevole.

Di solito, si confessano i colpevoli, i peccatori, che devono pulirsi la coscienza. Chi è nel giusto non ne ha bisogno.

Era il 9 maggio dell’anno scorso quando dicevamo le stesse cose perché incominciarono le prime confessioni e le prime manovre. Si stilavano già mentalmente i primi progetti politici: appoggiare Termine per un po’, poi buttarlo a mare con tutta la sua zavorra e preparare il terreno per le elezioni del 2014, liberandosi definitivamente di qualche personaggio che si aveva sullo stomaco da un po’ di tempo. Un piano ben congegnato, non c’è che dire. Non sappiamo quanti e quali complici contribuirono all’operazione, ma di sicuro, ce n’erano e oggi se ne avverte il sentore.

Era questo il titolo con il quale “Calabria Ora” pubblicava l’intervista-giustificazione di Virginia Mariotti, che credeva (o diceva soltanto) di interpretare così la volontà popolare passando dall’opposizione alla maggioranza di governo, applaudita da Ernesto Mileti al quale non pareva vero di rimettere in gioco la sua intraprendenza.

 

Chi si scusa ha gravi responsabilità.

Con un po’ di ritardo, oggi qualcuno pensa che basti semplicemente scusarsi con i cittadini per non aver saputo gestire il problema dell’ospedale. Rimane il fatto, però, che le scuse non sono una terapia che cura tutte le malattie, né servono a rimettere in funzione i reparti, a far tornare al loro posto i letti di degenza, a rivitalizzare i corridoi con il via vai di medici e infermieri, ad accogliere, cercando di dar loro risposte, le sofferenze di pazienti e familiari ai quali cade sulla testa, improvvisamente, la tegola della salute malferma.

Né le scuse possono cancellare le parole contenute nel verbale del 18 novembre 2012 relativo all’intervento in Consiglio regionale del nostro rappresentante locale, che risulta di una chiarezza incontestabile, a parte il linguaggio sempre approssimativo nella forma e nello stile. Ma questo è un dettaglio marginale rispetto al contenuto che ha proditoriamente avallato la scomparsa totale del nostro nosocomio.

 

Il resto è storia di quest’ultimo mese travagliato da trucchi, sotterfugi, ostacoli messi di traverso e chi più ne ha più ne metta.

Domani sarà il giorno della verità. Quella verità che alcuni hanno visto da tempo e che altri, come gli struzzi, vogliono nascondere ai propri occhi, forse per paura, forse per viltà, forse per indifferenza, forse per leggerezza o per interessi che non comprendiamo fino in fondo, ma certamente per farsi del male.

Luigi Parrillo