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San Marco Argentano - Polis

 

 

7 dicembre 2014

Chi festeggia l’Immacolata?

L’8 dicembre, festa dell’Immacolata, è una festività religiosa di precetto che, come tante altre, ha il riconoscimento di festività civile. Nella nostra tradizione culturale, richiama antiche usanze, abitudini gastronomiche in nome delle quali spesso si ricompongono le famiglie, accende lampi di ripresa commerciale effimera perché di breve durata, testimonia scambi augurali di maniera spesso distratti e frettolosi.

Questa è l’esteriorità che si esibisce rumorosamente all’aperto. A molti sfugge, invece, l’interiorità cui questa ricorrenza festiva dovrebbe far riferimento, essendo, per il suo carattere religioso, un momento di riflessione sul significato che assume, anche per via della denominazione che la distingue.

“Immacolata”! Questa parola non è soltanto un nome proprio di donna, come generalmente si intende presso la maggior parte della gente, che si premura di formulare gli auguri di buon onomastico alle persone che lo portano. Se è vero, pertanto, che tutte le parole hanno un senso, anche questa parola dovrebbe averne uno, cui uniformarsi in questa particolare giornata.

Vediamo cosa dice un dizionario fra i più accreditati:

 

immacolato (ant. immaculato) agg. [dal lat. immaculatus, comp. di in-2 e maculatus, part. pass. di maculare «macchiare, profanare»]. –

1. Senza macchia di colpa, purissimo, incontaminato: S’immaculato è questo cor, s’intatte Son queste membra e ’l marital mio letto (T. Tasso); Disdegnando e fremendo, immacolata Trasse la vita intera (Leopardi); servare i. il proprio nome, l’onore; fama i.; condurre una vita i.; con sign. estens.: in mentre che la republica visse immaculata (Machiavelli). In partic., l’I. Concezione, di Maria madre di Gesù, immune dalla macchia del peccato originale al momento del suo concepimento; anche sostantivato, sia sottintendendo Concezione, sia riferito alla Madonna stessa: la festa dell’I. (celebrata dalla Chiesa l’8 dicembre); invocare l’Immacolata.

2. Meno com. in senso proprio, privo di macchia o difetto: il candore i. delle nevi; e guardali mentre se ne stanno compunti coi loro doppiopetti grigi, le loro camicie i., le loro unghie curate (Oriana Fallaci). Avv. immacolataménte, senza alcuna macchia o colpa, con animo puro.

 

(Dizionario Treccani)

 

Allora, data questa definizione, quanti possono pensare di onorare degnamente questa festività? Alla dimensione religiosa penseranno altri. È sul piano civile, sociale, politico che noi ci poniamo la domanda. La rilettura di uno dei primi prodotti letterari di Oriana Fallaci ci fa riflettere moltissimo, specialmente in tempi come questi caratterizzati da esplosioni di piccoli e grandi scandali, che proiettano una luce diversa sul mondo politico contemporaneo e non solo su questo.

Dalle metropoli ai borghi di periferia, dilaga l’ipocrisia del perbenismo come travestimento che inganna solo gli sciocchi e i poveri in spirito. Che saranno pure perdonati dopo la vita terrena, ma che in terra non ci fanno bella figura.

Leggiamo Oriana Fallaci, seppure in un contesto diverso: «…avvoltoi smaniosi di sistemarsi in prima fila per mettersi in mostra, recitare un ruolo nella commedia. I servi del Potere, anzitutto, i rappresentanti del perbenismo culturale e parlamentare, giunti facilmente al cratere perché la piovra si scosta sempre quando essi scendono dalle limousine, prego eccellenza s'accomodi. E guardali mentre se ne stanno compunti coi loro doppiopetti grigi, le loro camicie immacolate, le loro unghie curate, la loro vomitevole rispettabilità. Poi i bugiardi che raccontano di opporsi al Potere, i demagoghi, i mestieranti della politica lercia cioè i leader dei partiti con la poltroncina, giunti a gomitate non perché la piovra si rifiutasse di lasciarli passare ma perché li voleva abbracciare.» (O. Fallaci, “Un uomo”, 1979)

La doppia dimensione della festività dell’Immacolata, comporta una doppia considerazione sul piano della responsabilità morale. Questa, infatti, distingue il momento del peccato, che investe l’aspetto religioso, e il momento del reato, che appartiene al risvolto civile, sociale, giuridico. Entrambe le colpe, tuttavia, gravano sulla coscienza dell’individuo che se ne macchiasse e che, fatto indispensabile - ma non scontato -, ne avvertisse il peso.

Lungi da noi l’intenzione di voler fare un discorso da pulpito. Altri sono chiamati a svolgere questo ruolo istituzionale. In noi non è ancora spento, però, quel barlume di luce morale per cui ci si guarda intorno con la preoccupazione di chi vorrebbe proiettare gli eredi dei propri affetti in un domani meno caratterizzato da fenomeni negativi. E confida nel ruolo delle istituzioni educative (in senso generale) per una rimodulazione della nostra comunità in senso eticamente più significativo ed equilibrato.

Il “vivi e lascia vivere” è un detto che non funziona, è uno slogan di stampo mafioso e ‘ndranghetista, perché spesso il lasciar vivere gli altri nega con forza il proprio vivere, che da quello viene mortificato. Dovrebbero saperlo bene tutti quelli che hanno lasciato troppo spazio al lascia vivere e oggi marciano lungo il sentiero dell’indigenza, anche per colpa.

“Vivi e lascia vivere” non è il detto della speranza, è la condanna alla rassegnazione perenne. Aderire a questa filosofia non è da immacolati, è da complici. Bisogna svegliarsi da questo brutto sogno e approfittare del messaggio che le festività di dicembre lanciano ormai da così tanto tempo, che la memoria quasi stenta a ricordarne il senso, il luogo e la storia.

Ci rendiamo conto che vivere da immacolati è cosa estremamente difficile. Cercare, però, di accumulare meno scorie possibili sul piano dell’etica è cosa che si può fare. Che qualcuno ci veda o meno, non ha importanza. Guardiamoci dentro da soli senza averne vergogna. E non solo in questi giorni!

Luigi Parrillo